martedì 29 dicembre 2009
Nuova ed interessante applicazione su apple store
domenica 27 dicembre 2009
Il Senato taglia i privilegi gli ex si ribellano
giovedì 24 dicembre 2009
Il lato oscuro della rete
di Gian antonio stella
IL WEB INVASO DA MINACCE E INSULTI
Il lato oscuro della rete
Ma davvero «in democrazia un cittadino deve avere il diritto di dire le sciocchez ze più grandi che crede», come teorizzò nel 2003 l’al lora ministro della Giusti zia Roberto Castelli metten dosi di traverso alla legge europea che voleva ridefini re i reati di razzismo e xe nofobia? Roberto Maroni, vista l’immondizia che tra bocca online a sostegno dell’uomo che ha scaraven tato una statuetta in faccia a Silvio Berlusconi (c’è chi si è spinto a scrivere: «Gli doveva rompere il cranio a quel testa d’asfalto!») pen sa di no. E ha ragione. Se è vero che la nostra libertà fi nisce là dove inizia la liber tà degli altri, anche la liber tà di parola, cioè il bene più prezioso dell’oro in una democrazia, ha un limite. Che non è solo il buon senso: è il codice pe nale.
Ci sono delle leggi: l’ist i gazione a delinquere e l’apologia di reato vanno puniti. Uno Stato serio non può tollerare che esista una zona franca dove di vampa una guerra che quo tidianamente si fa più aspra, volgare, violenta. Co me ha spiegato Antonio Ro versi nel libro «L’odio in Rete», il lato oscuro del web «è popolato da indivi dui e gruppi che, pur nella diversità di accenti e idio mi utilizzati, parlano tutti, salvo qualche rara ma im portante eccezione, il lin guaggio della violenza, del la sopraffazione, dell’an nientamento ». Tomas Mal donado l’aveva già intuito anni fa: «In queste comuni tà elettroniche cessa il con fronto, il dialogo, il dissen so e cresce il rischio del fa natismo. Web significa Re te ma anche ragnatela. Una ragnatela apparentemente senza ragno, dove la comunicazione, a differenza del la tivù, sembra potersi eser citare senza controllo». Ma più libertà di odio è più de mocrazia? È una tesi dura da sostenere. E pericolosa. Perché, diceva Fulvio To mizza, che aveva visto il suo piccolo paradiso istria no disintegrarsi in una fai da etnica un tempo inimmaginabile, «devono anco ra inventarlo un lievito che si gonfi come si gonfia l’odio».
Colpire Internet, dicono gli avvocati di Google de nunciata per certi video in fami su YouTube ( esem pio: un disabile pestato e ir riso dai compagni) «è co me processare i postini per il contenuto delle lettere che portano». E lo stesso ministro degli Interni non si è nascosto la difficoltà di avventurarsi in battaglie in ternazionali contro un gi gante immenso e impalpa bile. Peggio, c’è il rischio di far la fine dello scoiattoli no dell’«Era glaciale»: a ogni forellino che tappa, l’acqua irrompe da un’altra parte. Ancora più rischio so, però, sarebbe avviare una (giusta) campagna con tro solo una parte dell’odio online. Trascurando tutti gli altri siti che tracimano di fiele come quelli che impunemente scrivono d’un «olocausto comunista per petrato dalla mafia razzista ebraica responsabile dello sterminio di 300 milioni di non ebrei», di «fottuti schi fosi puzzoni stramaledetti sporchi negri mangiabana na », di «maledetti zingari immigrati razza inutile sporca da torturare», di re spingimenti da abolire per ché «la soluzione a questi problemi è il napalm, altro che rimpatri». Non puoi combattere l’odio se non lo combatti tutto. Andan do a colpire sia i teppisti razzisti che sputano online su Umberto Bossi chiaman dolo «paralitico di m.» sia quanti aprono gruppi di Fa cebook intitolati «Io odio Di Pietro» o «Uccidiamo Bassolino». Mai come sta volta, però, il buon esem pio deve venire dall’alto. Occorre abbassare i toni. Tutti.
mercoledì 23 dicembre 2009
La Costituzione italiana ed il Web
Di marco orofino
La Costituzione e le regole del Web 2.0
La Carta offre già tutte le risposte. Occorre seguire la strada del dialogo con i fornitori di servizi e con gli utenti
Libertà di comunicazione e Costituzione - La “libertà di comunicazione” è disciplinata nella nostra Costituzione in due norme: l’art. 15 e l’art. 21.
La prima norma costituzionale – l’art. 15 – riconosce e garantisce a tutti gli individui il diritto di corrispondere liberamente e segretamente, con qualsiasi mezzo disponibile e tecnicamente idoneo a garantire la segretezza della corrispondenza. La seconda norma costituzionale – l’art. 21 – riconosce a “tutti” il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo. Nonostante a prima vista possa sembrare che le due norme abbiano il medesimo oggetto in realtà ciò non è vero. Le due norme hanno, infatti, un ambito di applicazione diverso e, soprattutto, un diverso sistema di limiti.
Per quanto riguarda l’ambito di applicazione, l’art. 15 tutela la liberta e la segretezza delle comunicazioni interpersonali, solo cioè di quelle comunicazioni che avvengono tra un numero di destinatari determinato e attraverso un mezzo tecnico idoneo a garantire la segretezza della comunicazione. L’art. 21 ha, invece, come oggetto le cosiddette comunicazioni al pubblico, vale a dire le manifestazioni del pensiero rivolte ad un numero indeterminato di soggetti. La distinzione tra i due ambiti di applicazione dipende, dunque, sia dalla volontà soggettiva di chi comunica sia dal mezzo tecnico utilizzato, nel senso che se lo strumento tecnico non è idoneo a garantire la segretezza, la comunicazione rientra sempre nel paradigma dell’art. 21 ed è considerata comunicazione al pubblico.
I limiti alla censura - Per quanto riguarda il sistema di limiti, nell’art. 15, il Costituente ha previsto che la libertà e la segretezza delle comunicazioni interpersonali possa essere limitata solo dall’autorità giudiziaria con atto motivato e sulla base di una legge dello Stato. Ha cioè previsto, in ossequio al principio liberale di garanzia dei diritti, che la limitazione possa essere esclusivamente disposta dal Giudice “con le garanzie previste dalla Legge”
Per riprendere la definizione di Marco Gambaro, la Costituzione prevede, quindi, che per le comunicazioni interpersonali siano possibili solo limitazioni ex post, nel senso di successive all’autorizzazione del giudice. Nell’art. 21 il Costituente ha dettato una disciplina più complessa. Il primo e l’ultimo comma (il sesto) della norma sono dedicati in generale alle comunicazioni al pubblico, indipendentemente dal mezzo utilizzato, mentre gli altri commi riguardano specificamente la libertà di stampa. I limiti comuni sono quello esplicito del buon costume (da intendersi però come limitato alla sfera del pudore sessuale) e quelli impliciti ricavabili da altre norme costituzionali. Tra i limiti impliciti occorre ricordare i limiti personali cioè quelli derivanti dalla protezione dell’individuo che la Costituzione garantisce in altre norme (il limite dell’onore, della reputazione, della riservatezza, dell’identità personale) ed i limiti “pubblicistici” cioè derivanti dalla protezione costituzionale di finalità ed interessi collettivi (il limite dell’ordine pubblico, dell’esigenze di giustizia, della salvaguardia delle istituzioni e dei segreti).
Per limitare le manifestazioni contrarie al buon costume (e per analogia quelle che oltrepassano i cd. limiti impliciti) la norma costituzionale prevede che la legge possa stabilire “provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere”. In questi casi, dunque, il Legislatore può prevedere anche meccanismi di controllo amministrativo ex ante. Fermo restando, però, che quando la libertà di manifestazione del pensiero diventa libertà di cronaca, essa gode di uno spazio di libertà maggiore come riconosciuto da costante giurisprudenza.
Per quanto riguarda, invece, specificamente l’attività di stampa (da intendersi pacificamente sia in forma tradizionale sia in forma on line) l’art. 21 Cost. ha espressamente vietato qualsiasi tipo di autorizzazione e censura. Così facendo ha quindi vietato qualsiasi atto limitativo preventivo o “ex ante”. In più, la Costituzione ha disciplinato dettagliatamente anche i provvedimenti ex post – e precisamente il sequestro degli stampati nel caso di delitti – ricorrendo anche in questo caso al doppio meccanismo della riserva di legge e della riserva di giurisdizione, vale a dire subordinando – come per l’art. 15 – la limitazione ex post della libertà all’atto motivato del giudice sulla base di una legge. Solo, in via assolutamente eccezionale, la Costituzione consente, infine, il sequestro da parte di ufficiali di polizia giudiziaria, anche senza la previa autorizzazione del giudice, ma prevedendo che il provvedimento di sequestro sia portato dinnanzi al giudice entro ventiquattro ore e confermato nelle successive ventiquattro ore.
Comunicazione "chiusa" e "aperta" - Sulla base di quanto argomentato partendo dalle norme costituzionali si possono trarre due conclusioni. La prima conclusione è l’assoluta necessità di distinguere per ogni tipo di comunicazione il paradigma costituzionale di riferimento. Questa distinzione abbastanza semplice con riferimento ai tradizionali mezzi di comunicazione diviene, come avverte anche Marco Pratellesi, estremamente difficoltosa al tempo del web 2.0, dei social network, delle chat e dei social group. Per cui può facilmente accadere che l’utente non sappia (ed in taluni casi non possa conoscere) se la conversazione alla quale partecipa è una comunicazione chiusa oppure una comunicazione al pubblico.
Se ad esempio si chiede l’iscrizione ad un forum chiuso, ma l’autorizzazione è automatica si può ancora ritenere di star conversando tra un numero determinato di soggetti? Oppure se ci si iscrive ad un social group del quale si conoscono i partecipanti solo attraverso il loro nickname si dovrà considerare le proprie comunicazioni come rivolte al pubblico ? Ancora cosa accade se si partecipa ad una conversazione tra amici e poi l’amministratore del gruppo apre la conversazione a tutti ?
Questa difficoltà sul lato utente si amplia se ci si mette dalla parte del legislatore. Qualora il Legislatore decidesse, infatti, di intervenire dovrebbe adottare necessariamente una disciplina estremamente tecnica e minuziosa. Inoltre, dovrebbe – e questo appare difficilmente realizzabile – aggiornarla continuamente in una corsa (persa in partenza) contro il cambiamento tecnologico. Se anche si provasse questa strada, il risultato potrebbe essere una iper-normazione dei servizi del web 2.0, che presumibilmente non ne scoraggerebbe l’utilizzo, ma condurrebbe inevitabilmente all’elaborazione di condizioni di utilizzo complicate. Insomma l’iper-normazione si scaricherebbe sugli utenti che dovrebbero sottoscrivere ed approvare lunghe condizioni di utilizzo senza comprenderne appieno il significato, sempre che effettivamente decidano di leggerle.
La seconda conclusione è che la nostra Costituzione esprime un deciso favor (che per la verità è quasi sempre un obbligo) per interventi ex post di limitazione delle comunicazioni sia che si tratti di comunicazioni interpersonali sia che si tratti di comunicazioni al pubblico. Il che significa che il Legislatore qualora decidesse di intervenire dovrebbe sempre valutare con estrema attenzione quando è possibile prevedere un controllo ed una limitazione ex ante delle comunicazioni sul web e come è possibile articolare l’intervento ed il controllo nel rispetto dei diritti costituzionali degli utenti (ivi compresa la loro privacy).
Cosa si può fare, dunque, per arginare il fenomeno di deresponsabilizzazione che sembra emergere dall’utilizzo dei social forum e, più in generale, del web 2.0? Come è già stato detto occorre seguire la strada, anche indicata dal Ministro Maroni e, peraltro in parte già intrapresa, del dialogo con i fornitori dei servizi. In questo senso, occorre prendere coscienza del fatto che sarebbero necessarie scelte a livello globale, ma che mancando una efficace governance internazionale del settore, non vi è che la strada di lavorare alla definizione di policies di utilizzo dei servizi concordate con i fornitori dei servizi stessi. Occorre, quindi, una continua concertazione tra le autorità nazionali (comunitarie ed internazionali, se possibile) ed i più importanti social networks, i motori di ricerca e più in generale i fornitori dei servizi che caratterizzano il web 2.0. Inoltre, non si può certamente abdicare all’idea che sia possibile sensibilizzare gli utenti sull’utilizzo dei più moderni sistemi di comunicazione.
Questa strada ha, peraltro, già dato ottimi frutti in materia di privacy. Le raccomandazioni, i decaloghi e le guide rilasciate dall’Autorità per la protezione dati personali italiana e dal network dei garanti europei hanno già contribuito ad un utilizzo più consapevole del mezzo. Se si guarda proprio a Facebook, ci si può facilmente rendere conto di come, rispetto alle origini, il social network consenta oggi agli utenti di alzare ed abbassare discrezionalmente i propri livelli di privacy e di come gli stessi utenti abbiano approfittato di queste nuove opzioni permettendo – ormai nella maggior parte dei casi – solo ai propri amici di vedere il proprio profilo, il proprio status, i propri commenti e le proprie foto. Questo è conseguenza sia dell’accresciuta consapevolezza degli utenti sia dell’attività di sensibilizzazione svolta dall’Autorità di protezione dati ad ogni livello.
La medesima strada può essere seguita – con la partecipazione di tutte le istituzioni, pubbliche e private, e naturalmente degli stakeholders e degli utenti – anche per sensibilizzare i cittadini sul problema dell’impatto che i commenti lasciati in rete possono avere. Solo a questo punto sarà possibile spiegare loro in maniera convincente, che Internet non è sinonimo di impunità e che un reato rimane tale sia se commesso tradizionalmente sia se commesso sulla rete.
Marco Orofino è docente di "Informazione e Costituzione" alla Facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Milano
lunedì 21 dicembre 2009
Twitter sotto attacco
Da Repubblica.it
CYBERTERRORISMO
Gruppo di hacker iraniani
pirata il sito di Twitter
Per circa un'ora il dominio del social network è stato dirottato su una pagina con scritte in arabo: "Gli Usa non controllano la rete. E' Teheran a farlo con il suo potere"
Ecco la scritta messa in rete dai pirati, con tanto di indirizzo e-mail: "Questo sito è stato piratato dall'Iranian Cyber Army. Gli Stati Uniti credono di controllare e gestire internet con il loro accesso, ma sbagliano. Siamo noi a controllare e gestire la rete con il nostro potere, quindi non provate a provocare il popolo iraniano. Ora quale Paese è nella lista dell'embargo? L'Iran? Gli Usa?". Poi uno "smile" e altre due parole: "Take care", saluti. In aggiunta, alcune frasi in persiano inneggianti la Guida Suprema, l'ayatollah Ali Khamenei, e minacce al movimento riformista dell'Onda Verde.
Secondo quanto si apprende, il gruppo che ha rivendicato l'attacco cibernetico non è stato immediatamente riconosciuto dagli inquirenti. L'azione potrebbe essere intesa come una rappresaglia nei confonti del governo degli Stati Uniti, che durante le proteste per le elezioni iraniane era intervenuto affinché Twitter rimanesse uno strumento a disposizione dei manifestanti di Teheran. In particolare, nei giorni più caldi della protesta, l'amministrazione Obama aveva chiesto ai gestori del social network di rimandare un'operazione di manutenzione che avrebbe portato alla disattivazione momentanea del sito.
sabato 12 dicembre 2009
Consapevoli del regresso
Al via il tanto atteso vertice di Copenaghen, punto cardine delle molteplici aspettative ecologiche di fine anno. Cosa aspettarsi? Poco o niente.
Personalmente, la principale causa di scetticismo va ricercata nella profonda mancanza di logica alla base di tutti i discorsi sull’ambiente. Cerco subito di spiegarmi per non essere frainteso.
Oggi si parla sempre più spesso di Green Economy. Nella Green Economy, come in tutta le moderne forme di economia e di interazione sociale, svolge un ruolo di primaria importanza la tecnologia e la conoscenza scientifica. Questo è un principio tanto banale quanto importante nell’evoluzione del sapere umano, non soltanto in termini economici, ma soprattutto in termini sociali.
Lo sviluppo scientifico e tecnologico ha portato, specialmente nell’ultimo secolo, ad una straordinaria consapevolezza di quelli che sono i limiti e le potenzialità della nostra specie e del nostro pianeta. Mi sento di affermare che, lo maturazione di diritti civili e sociali , per quanto radicati ed antichi, è stato, in qualche modo, leggittimato da un forte incremento della conoscenza globale scientifica. Innovazione scientifica e sviluppo tecnologico sono sinonimi di forte cambiamento; questo è vero nel campo medico, fisico, chimico, scientifico in generale, come nel campo sociale. Le relazioni tra uomo, scienza e società si basano su un rapporto paritario, a volte simbiotico, dove la riduzione della dannosità è vista come un obiettivo fondamentale e comune a tutto il mondo della ricerca.
Banale affermare che questo discorso non vale per l’economia: il “ semplice” mercato più volte ha dimostrato di essere uno strumento fallimentare da questo punto di vista. Non a caso l’intervento regolatorio in molti casi é necessario e di vitale importanza. Il rapporto paritario e simbiotico di cui sopra, quando si parla di economia, non ha senso.
Il benessere sociale e collettivo non è qualcosa che interessa il mondo dell’economia (ed anche questa è un’altra cosa ovvia e scontata). La riduzione della dannosità non “lega” bene con il principio di produttività e profitto, almeno fin quando i mondi economici e sociali rimangono separati; non a caso, paesi economicamente avanzati, solo quando spostano la loro attenzione su tematiche sociali cominciano a considerare anche aspetti che riguardano i danni e non solo i benefici dell’agire umano.
L’avanzamento economico di uno stato non può essere l’unico elemento che autorizza o no determinati comportamenti (concetto tanto caro a Cina e India, che cercano così in tutti i modi di legittimare le loro politiche industriali). Dimentichiamo un elemento importantissimo: quello che prima abbiamo chiamato sviluppo tecnologico e scientifico. Mi spiego: se andiamo a ritroso nel tempo, siamo consapevoli di alcune tappe fondamentali che nel corso della storia hanno cambiato l’assetto economico e sociale del mondo. A partire dalle varie età del brono e del ferro, passando per lo sviluppo del’agricoltura, piuttosto che la rivoluzione industriale, fino alle moderne forme di rivoluzioni tecnico scientifiche, il passaggio da un modello all’altro è sempre stato, per quanto difficile e socialmente devastante, accettato in nome di un progresso cognitivo. Con questo non voglio dire che nel passato, come nel presente non ci siano state forme di resistenza al cambiamento, anzi, i disordini sociali sono sempre più forti e difficili.
Quello che però mi sento di criticare è l’atteggiamento con cui parliamo e non discutiamo delle giustificazioni che oggi alcuni paesi danno al loro modo di comportarsi. Ovvio che ognuno guarda ai suoi interessi e, come si dice, cerca di portare acqua al suo mulino. Però almeno da parte di chi come me è “fuori da giochi” e si interessa a questi argomenti come semplice soggetto esterno, mi aspetterei un contributo un po’ più critico.
La pretesa della Cina si basa sul reclamare un diritto all’inquinamento in nome di una tardivo sviluppo industriale rispetto agli altri stati. Siccome nel passato l’occidente è cresciuto grazie al massiccio utilizzo di un determinato modello industriale, oggi i paesi c.d. in via di sviluppo hanno diritto a comportarsi come i loro predecessori. Questo sarebbe vero nel momento in cui il sapere scientifico e tecnologico fosse fermo o si basasse su un percorso ciclico. Siccome il sapere avanza, le tecnologie migliorano e la conoscenza totale aumenta, come possiamo giustificare azioni che sappiamo essere dannose ed evitabili? Perchè siamo contenti quando scopriamo nuove medidice o nuovi trattamenti medici e siamo invece totalmente passibili difronte alla scoperta di un nuovo sistema per migliorare l’efficienza dei pannelli solari? Chi di noi oggi, nel 2009, si farebbe curare, qualora ciò fosse possibile, da un medico del 1700?
Legittimare la Cina oggi e permettergli di non adeguarsi ai moderni sistemi industriali e tecnologici significherebbe legittimare qualsiasi altro stato a “tornare indietro sui suoi passi” e comportarsi come meglio credeva nel passato. Un atteggiamento del genere nega ogi forma di sviluppo cognitivo. Non importa che oggi siamo a conoscenza di cose che fino a ieri ignoravamo, siccome qualcuno prima si è comportato in un certo modo, oggi qualcun’altro si sente leggittimato a fare uguale.
Potremmo quindi riaprire le colonie in Africa dato che molti stati europei traevano grossi benefici dallo sfruttamento delle risorse e degli schiavi provenienti dal paese nero. L’impero romano è stato uno dei più grossi imperi mai esistiti, potremmo benissimo tornare alla distinzione tra patrizi, peblei e schiavi; chi ce lo impedirebbe? Ne trarremmo sicuramente molti benefici. Riapriamo le fabbriche di eternit ed annulliamo tutti i processi in corso dal momento che i bilanci di queste imprese hanno sempre chiuso in attivo!!!
giovedì 10 dicembre 2009
"Statistichiamo" un po' su quello che si cerca su Google
Le parole più cercate in assoluto
- youtube
- libero
- roma
- meteo
- giochi
- yahoo
- netlog
- msn
- wikipedia
Le leggi più cercate del 2009
- legge 104
- legge bersani
- legge fallimentare
- legge 626
- legge sulla privacy
- legge finanziaria 2009
- legge 133/2008
- legge 241/90
- legge finanziaria 2008
- legge brunetta
I film più cercati del 2009
- new moon
- 2012
- twilight
- baaria
- parnassus
- district 9
- sette anime
- transformers 2
- watchmen
- amore 14
Le news più popolari del 2009
- terremoto abruzzo
- sanremo 2009
- grande fratello 9
- elezioni sardegna 2009
- veronica lario
- elezioni europee 2009
- giuramento obama
- x factor 2009
- michael jackson
- alberto stasi
mercoledì 9 dicembre 2009
Germania, la tassa sul web aiuto all'editoria in difficoltà (Repubblica.it)
Di un canone per l'uso della rete si parla da qualche tempo in Germania. C'è già da prima delle ultime elezioni un accordo di massima tra editori e potere politico, per difendere e sostenere l'editoria di qualità (media e letteratura), che aveva chiesto aiuto, insidiata dalla diffusione gratuita dei loro contenuti su Google o altri portali o motori. L'idea del canone era nata appunto come una tassa da usare per sostenere l'editoria, e frenare il drenaggio di lettori.
Del canone stanno discutendo i governatori dei sedici Stati (Bundeslaender) della Repubblica federale. La decisione di fondo sembra di fatto presa, si tratta solo di scegliere tra due modelli d'imposizione. Il primo prevede che, in aggiunta alla flat rate su internet o all'abbonamento a una rete cellulare, chi dispone di uno o più computer o telefonini collegabili al web dovrebbe pagare 17,98 euro al mese alla GEZ, l'autorirà centrale cui si versa il canone tv. Il secondo modello propone che una tassa-canone sulla rete sia uguale per tutti, sempre attorno ai 17,98 euro mensili, e il suo pagamento venga richiesto a ogni famiglia, a prescindere da quali tv, radio o computer o cellulari il nucleo familiare possiede o no.
Al tempo stesso il governo vuole lanciare grandi investimenti per estendere l'uso della banda larga e di internet superveloce. "Il nostro futuro è nella circolazione veloce dei dati, non nella velocità delle auto che produciamo e vendiamo", ha detto Bruederle. Il terzo punto del piano governativo è istituire entro l'anno prossimo un organismo di coordinamento tra esecutivo e aziende per la lotta ai virus internettiani e alla pirateria online.