Al via il tanto atteso vertice di Copenaghen, punto cardine delle molteplici aspettative ecologiche di fine anno. Cosa aspettarsi? Poco o niente.
Personalmente, la principale causa di scetticismo va ricercata nella profonda mancanza di logica alla base di tutti i discorsi sull’ambiente. Cerco subito di spiegarmi per non essere frainteso.
Oggi si parla sempre più spesso di Green Economy. Nella Green Economy, come in tutta le moderne forme di economia e di interazione sociale, svolge un ruolo di primaria importanza la tecnologia e la conoscenza scientifica. Questo è un principio tanto banale quanto importante nell’evoluzione del sapere umano, non soltanto in termini economici, ma soprattutto in termini sociali.
Lo sviluppo scientifico e tecnologico ha portato, specialmente nell’ultimo secolo, ad una straordinaria consapevolezza di quelli che sono i limiti e le potenzialità della nostra specie e del nostro pianeta. Mi sento di affermare che, lo maturazione di diritti civili e sociali , per quanto radicati ed antichi, è stato, in qualche modo, leggittimato da un forte incremento della conoscenza globale scientifica. Innovazione scientifica e sviluppo tecnologico sono sinonimi di forte cambiamento; questo è vero nel campo medico, fisico, chimico, scientifico in generale, come nel campo sociale. Le relazioni tra uomo, scienza e società si basano su un rapporto paritario, a volte simbiotico, dove la riduzione della dannosità è vista come un obiettivo fondamentale e comune a tutto il mondo della ricerca.
Banale affermare che questo discorso non vale per l’economia: il “ semplice” mercato più volte ha dimostrato di essere uno strumento fallimentare da questo punto di vista. Non a caso l’intervento regolatorio in molti casi é necessario e di vitale importanza. Il rapporto paritario e simbiotico di cui sopra, quando si parla di economia, non ha senso.
Il benessere sociale e collettivo non è qualcosa che interessa il mondo dell’economia (ed anche questa è un’altra cosa ovvia e scontata). La riduzione della dannosità non “lega” bene con il principio di produttività e profitto, almeno fin quando i mondi economici e sociali rimangono separati; non a caso, paesi economicamente avanzati, solo quando spostano la loro attenzione su tematiche sociali cominciano a considerare anche aspetti che riguardano i danni e non solo i benefici dell’agire umano.
L’avanzamento economico di uno stato non può essere l’unico elemento che autorizza o no determinati comportamenti (concetto tanto caro a Cina e India, che cercano così in tutti i modi di legittimare le loro politiche industriali). Dimentichiamo un elemento importantissimo: quello che prima abbiamo chiamato sviluppo tecnologico e scientifico. Mi spiego: se andiamo a ritroso nel tempo, siamo consapevoli di alcune tappe fondamentali che nel corso della storia hanno cambiato l’assetto economico e sociale del mondo. A partire dalle varie età del brono e del ferro, passando per lo sviluppo del’agricoltura, piuttosto che la rivoluzione industriale, fino alle moderne forme di rivoluzioni tecnico scientifiche, il passaggio da un modello all’altro è sempre stato, per quanto difficile e socialmente devastante, accettato in nome di un progresso cognitivo. Con questo non voglio dire che nel passato, come nel presente non ci siano state forme di resistenza al cambiamento, anzi, i disordini sociali sono sempre più forti e difficili.
Quello che però mi sento di criticare è l’atteggiamento con cui parliamo e non discutiamo delle giustificazioni che oggi alcuni paesi danno al loro modo di comportarsi. Ovvio che ognuno guarda ai suoi interessi e, come si dice, cerca di portare acqua al suo mulino. Però almeno da parte di chi come me è “fuori da giochi” e si interessa a questi argomenti come semplice soggetto esterno, mi aspetterei un contributo un po’ più critico.
La pretesa della Cina si basa sul reclamare un diritto all’inquinamento in nome di una tardivo sviluppo industriale rispetto agli altri stati. Siccome nel passato l’occidente è cresciuto grazie al massiccio utilizzo di un determinato modello industriale, oggi i paesi c.d. in via di sviluppo hanno diritto a comportarsi come i loro predecessori. Questo sarebbe vero nel momento in cui il sapere scientifico e tecnologico fosse fermo o si basasse su un percorso ciclico. Siccome il sapere avanza, le tecnologie migliorano e la conoscenza totale aumenta, come possiamo giustificare azioni che sappiamo essere dannose ed evitabili? Perchè siamo contenti quando scopriamo nuove medidice o nuovi trattamenti medici e siamo invece totalmente passibili difronte alla scoperta di un nuovo sistema per migliorare l’efficienza dei pannelli solari? Chi di noi oggi, nel 2009, si farebbe curare, qualora ciò fosse possibile, da un medico del 1700?
Legittimare la Cina oggi e permettergli di non adeguarsi ai moderni sistemi industriali e tecnologici significherebbe legittimare qualsiasi altro stato a “tornare indietro sui suoi passi” e comportarsi come meglio credeva nel passato. Un atteggiamento del genere nega ogi forma di sviluppo cognitivo. Non importa che oggi siamo a conoscenza di cose che fino a ieri ignoravamo, siccome qualcuno prima si è comportato in un certo modo, oggi qualcun’altro si sente leggittimato a fare uguale.
Potremmo quindi riaprire le colonie in Africa dato che molti stati europei traevano grossi benefici dallo sfruttamento delle risorse e degli schiavi provenienti dal paese nero. L’impero romano è stato uno dei più grossi imperi mai esistiti, potremmo benissimo tornare alla distinzione tra patrizi, peblei e schiavi; chi ce lo impedirebbe? Ne trarremmo sicuramente molti benefici. Riapriamo le fabbriche di eternit ed annulliamo tutti i processi in corso dal momento che i bilanci di queste imprese hanno sempre chiuso in attivo!!!
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