giovedì 24 dicembre 2009

Il lato oscuro della rete

di Gian antonio stella


IL WEB INVASO DA MINACCE E INSULTI

Il lato oscuro della rete

Ma davvero «in democrazia un cittadino deve avere il diritto di dire le sciocchez ze più grandi che crede», come teorizzò nel 2003 l’al lora ministro della Giusti zia Roberto Castelli metten dosi di traverso alla legge europea che voleva ridefini re i reati di razzismo e xe nofobia? Roberto Maroni, vista l’immondizia che tra bocca online a sostegno dell’uomo che ha scaraven tato una statuetta in faccia a Silvio Berlusconi (c’è chi si è spinto a scrivere: «Gli doveva rompere il cranio a quel testa d’asfalto!») pen sa di no. E ha ragione. Se è vero che la nostra libertà fi nisce là dove inizia la liber tà degli altri, anche la liber tà di parola, cioè il bene più prezioso dell’oro in una democrazia, ha un li­mite. Che non è solo il buon senso: è il codice pe nale.

Ci sono delle leggi: l’ist i gazione a delinquere e l’apologia di reato vanno puniti. Uno Stato serio non può tollerare che esista una zona franca dove di vampa una guerra che quo tidianamente si fa più aspra, volgare, violenta. Co me ha spiegato Antonio Ro versi nel libro «L’odio in Rete», il lato oscuro del web «è popolato da indivi dui e gruppi che, pur nella diversità di accenti e idio mi utilizzati, parlano tutti, salvo qualche rara ma im portante eccezione, il lin guaggio della violenza, del la sopraffazione, dell’an nientamento ». Tomas Mal donado l’aveva già intuito anni fa: «In queste comuni tà elettroniche cessa il con fronto, il dialogo, il dissen so e cresce il rischio del fa natismo. Web significa Re te ma anche ragnatela. Una ragnatela apparentemente senza ragno, dove la comu­nicazione, a differenza del la tivù, sembra potersi eser citare senza controllo». Ma più libertà di odio è più de mocrazia? È una tesi dura da sostenere. E pericolosa. Perché, diceva Fulvio To mizza, che aveva visto il suo piccolo paradiso istria no disintegrarsi in una fai da etnica un tempo inim­maginabile, «devono anco ra inventarlo un lievito che si gonfi come si gonfia l’odio».

Colpire Internet, dicono gli avvocati di Google de nunciata per certi video in fami su YouTube ( esem pio: un disabile pestato e ir riso dai compagni) «è co me processare i postini per il contenuto delle lettere che portano». E lo stesso ministro degli Interni non si è nascosto la difficoltà di avventurarsi in battaglie in ternazionali contro un gi gante immenso e impalpa bile. Peggio, c’è il rischio di far la fine dello scoiattoli no dell’«Era glaciale»: a ogni forellino che tappa, l’acqua irrompe da un’altra parte. Ancora più rischio so, però, sarebbe avviare una (giusta) campagna con tro solo una parte dell’odio online. Trascurando tutti gli altri siti che tracimano di fiele come quelli che im­punemente scrivono d’un «olocausto comunista per petrato dalla mafia razzista ebraica responsabile dello sterminio di 300 milioni di non ebrei», di «fottuti schi fosi puzzoni stramaledetti sporchi negri mangiabana na », di «maledetti zingari immigrati razza inutile sporca da torturare», di re spingimenti da abolire per ché «la soluzione a questi problemi è il napalm, altro che rimpatri». Non puoi combattere l’odio se non lo combatti tutto. Andan do a colpire sia i teppisti razzisti che sputano online su Umberto Bossi chiaman dolo «paralitico di m.» sia quanti aprono gruppi di Fa cebook intitolati «Io odio Di Pietro» o «Uccidiamo Bassolino». Mai come sta volta, però, il buon esem pio deve venire dall’alto. Occorre abbassare i toni. Tutti.

15 dicembre 2009

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